domenica 19 settembre 2010

IL MIO SAN GENNARO

L’autore di “Gomorra” ricorda il suo stu­pore di bam­bino. E rac­conta: “In una città dis­per­ata questa magia è l’unica sper­anza. Per capirla bisogna ascoltarne il bat­tito“

di Roberto Saviano

SAN GENNARO

Fac­cia gial­luta! Ma che stai arrab­bi­ato? Nun fa o’ fess’ San Genna’, ti vott’ a copp’ a bascie”. Quel che mi aveva scon­volto la prima volta che fui por­tato — un 19 set­tem­bre — ad assis­tere allo sciogli­mento del sangue furono gli insulti. Decine e decine di donne impre­ca­vano con­tro il santo per provo­carlo e spingerlo a fare il suo dovere. I napo­le­tani vedono nel mira­colo quell’accadimento unico che però si ripete da sec­oli, ogni anno, sem­pre uguale e sem­pre nello stesso giorno, a sig­nifi­care l’eccezionale oltre le abi­tu­dini quo­tid­i­ane. E questo accadi­mento squar­cia con tutta la sua forza l’opacità della vita. In una città dis­per­ata, dove spesso la volontà e l’individuo ven­gono schi­ac­ciati dall’impossibilità all’azione, il Santo è la sper­anza, la sciorta, la certezza che prima o poi qual­cuno inter­verrà con una forza supe­ri­ore e qual­cosa andrà bene. Sulla relazione tra il mira­colo man­cato e le dis­gra­zie esiste persino uno stu­dio sci­en­tifico — o quasi — risalente al 1924. Il mira­colo di S. Gen­naro di Gio­vanni Bat­tista Alfano e Anto­nio Ami­trano riporta che negli anni in cui non si è com­pi­uto, Napoli sarebbe stata col­pita da 22 epi­demie, 11 riv­o­luzioni, 3 sic­c­ità, 1 inva­sione dei turchi, 13 morti di arcivescovi, 3 per­se­cuzioni reli­giose, 7 piogge dis­as­trose, 9 morti di pon­t­efici, 11 eruzioni del Vesu­vio, 19 ter­re­moti, 3 carestie, 4 guerre. Per i non cre­denti, nat­u­ral­mente, esiste una spie­gazione razionale. La riv­ista Nature riporta i risul­tati ottenuti da un’équipe di ricer­ca­tori che ha riprodotto in lab­o­ra­to­rio la com­po­sizione del sangue del santo, uti­liz­zando solo materie reperi­bili nel Tre­cento: gusci d’uovo, sale da cucina e car­bon­ato di ferro. Lo sciogli­mento avviene agi­tando il com­posto coag­u­lato, per un fenom­eno conosci­uto col nome sci­en­tifico di tis­sotropia. Resta però il prob­lema che in genere tale com­posto dopo qualche anno scade. L’unica risposta potrebbe venire anal­iz­zando il liq­uido con­tenuto nelle ampolle, ma la Chiesa non acconsente al pre­lievo che potrebbe arrecare danno al liquido.

Pro­prio la Chiesa, però, per anni è stata dub­biosa sul mira­colo. Durante il Con­cilio Vat­i­cano II, decise persino di depennare San Gen­naro dal cal­en­dario. Ma si scon­trò con la comu­nità napo­le­tana pronta alle bar­ri­cate se il suo santo non avesse riavuto il posto che gli spet­tava. Così la Chiesa dovette tornare sui suoi passi, degradan­dolo — in pochi lo sanno — al rango di santo locale. Ma questo poco cam­bia per i napo­le­tani. Nor­man Lewis in quel cap­ola­voro che è Napoli ’44 (Adel­phi) scrive: “Da quat­tordici sec­oli, a par­tire dal giorno del suo mar­tirio a Poz­zuoli, san Gen­naro limita la sua attiv­ità mira­colosa a Napoli, e si è con­vinti che non alz­erebbe un dito per sal­vare il resto del mondo dalla dis­truzione”. San Gen­naro, come scriveva Matilde Serao, “è un amico del cielo” e non ha quasi nulla dei santi cui la tradizione cris­tiana ci ha abit­uati. San Gen­naro è colui a cui può essere richiesto davvero qual­si­asi cosa. Che un furto vada a buon fine, o che la pastiera venga buona. Gli viene chiesto di guarire o di avere un figlio (anche se per ottenere questo mira­colo i napo­le­tani si riv­ol­gono spesso anche a Santa Maria Francesca), di fer­mare la lava, di pulire le strade dalla peste e dal col­era ma anche di indov­inare i numeri al lotto. Invo­carlo non è una risorsa estrema cui si ricorre solo per le ques­tioni più impor­tanti, per­ché San Gen­naro accoglie tutto e sente tutti. E soprat­tutto non giu­dica. Sta a sen­tire e provvede. Non impone ai suoi devoti una rigida osser­vanza prat­ica. È un santo capric­cioso che pro­tegge la città e i suoi abi­tanti, non in quanto buoni cris­tiani o fedeli meritevoli ma in quanto napo­le­tani e basta. E poi ce l’ha a morte col resto della regione che lo ha tra­dito, lo ha ucciso. San Gen­naro era stato decap­i­tato il 19 set­tem­bre del 305 a Poz­zuoli. Il rac­conto narra che subito dopo la decap­i­tazione una devota di nome Euse­bia rac­colse il sangue del mar­tire e lo con­servò in due ampolle. Le spoglie di San Gen­naro furono rubate dai ben­even­tani nel 315, per­ché i san­niti lo ritenevano loro concit­tadino essendo stato vescovo di Ben­evento, e solo nel 1497 tornarono a Napoli. Il primo mira­colo del quale si ha notizia avvenne nel 1389; nel 1631, quando le ampolle con la reliquia furono esposte men­tre era in corso un’eruzione del Vesu­vio, la lava si arrestò al Ponte dei Granili senza entrare in città. Nor­man Lewis, uffi­ciale bri­tan­nico di stanza nel sud Italia, descrive il com­por­ta­mento degli abi­tanti di San Sebas­tiano, pic­colo comune ai piedi del Vesu­vio, che per fer­mare la lava uti­liz­za­vano l’effigie del loro santo patrono. Ma di ris­erva e ben nascosto sotto un lenzuolo — per­ché San Sebas­tiano non si offend­esse — con­ser­va­vano anche una statua di San Gen­naro, l’asso nella man­ica che avreb­bero sfoder­ato solo in caso di peri­colo estremo per­ché chiedere la grazia al santo fuori le mura di Napoli è sem­pre un ris­chio, data la sua atavica avver­sione per la provincia.

Uno dei rac­conti più belli sul santo e la città l’ha scritto Matilde Serao nel pic­colo cap­ola­voro San Gen­naro nella leggenda e nella vita (Palo­mar). Ricorda che Napoli ha 50 patroni, visto che per una città così grande e dif­fi­cile ci vogliono molti santi. Un patrono per ogni tipo di dis­gra­zie. Ma è solo San Gen­naro a rice­vere tutte le richi­este, tutti i ringrazi­a­menti e tutti i doni. I doni che nobili, borgh­esi e popolani hanno por­tato e con­tin­u­ano a offrir­gli hanno cre­ato un tesoro famoso in tutto il mondo. È nel tesoro di San Gen­naro che c’è quello che viene con­sid­er­ato un arte­fatto dal val­ore ines­tima­bile: la mitra, il copr­i­capo vescov­ile cre­ato da un orafo del Set­te­cento con 3700 rubini, smeraldi e dia­manti incas­to­nati, per la cui real­iz­zazione furono rac­colti ven­tim­ila ducati fra il popolo, il clero, gli arti­giani, i nobili e il sovrano. Ma il pezzo più pre­giato è la col­lana di San Gen­naro, prob­a­bil­mente il gioiello più prezioso al mondo. Una col­lana con grosse maglie in oro mas­s­ic­cio alla quale sono appese croci tem­pes­tate di zaf­firi, dia­manti e smeraldi donate da Carlo di Bor­bone, dai prin­cipi di Sas­so­nia, da Maria Car­olina d’Austria, da Giuseppe Bona­parte, da Vit­to­rio Emanuele II di Savoia. Persino il fratello di Napoleone non poteva fare a meno di ren­dere omag­gio alla città attra­verso il dono al suo santo. A Napoli anche le piante che ornano gli ingressi degli alberghi o dei negozi di lusso devono essere incate­nate e chiuse con luc­chetti enormi per evitare furti, eppure il tesoro di San Gen­naro non è mai stato toc­cato. Il furto del tesoro non andò a segno nem­meno in Oper­azione San Gen­naro diver­ten­tis­simo film di Dino Risi, in cui il Dudù (Nino Man­fredi) avrebbe dovuto, in com­butta con una banda di amer­i­cani e su indi­cazioni di Totò, rubare il tesoro. Dudù, chiede il per­me­sso al santo, prima di accettare con gli amer­i­cani di rubare il tesoro e scorge in un rag­gio di sole che illu­mina la statua del santo, il suo assenso. Durante la guerra affi­darono l’oro al vat­i­cano. La città era con­tin­u­a­mente sotto bom­bar­da­mento. Il 4 aprile 1943 una bomba aveva col­pito il Duomo. Finita la guerra, i napo­le­tani chiesero di ria­vere il tesoro. Ma era impos­si­bile trasportare un carico di preziosi dal val­ore sti­mato all’epoca in tre mil­iardi di lire, attra­verso strade dis­trutte, infes­tate di mal­viventi, senza poter con­tare su poliziotti o cara­binieri, per­ché non ce ne erano abbas­tanza. Si offrì Giuseppe Navarra, pic­colo camor­rista ex palom­baro dal fisico mas­s­ic­cio, chiam­ato “il re di Pog­gio­re­ale”, che si era arric­chito traf­fi­cando prima a Mar­siglia e poi a Napoli, dove girava con una Alfa 2880 appartenuta a Mus­solini. Navarra partì per Roma accom­pa­g­nato solo dal novan­tenne principe Ste­fano Colonna di Paliano, vicepres­i­dente della Dep­utazione di San Gen­naro. Al ritorno li bloccò prima una piena del Garigliano e poi due mal­in­ten­zionati. Ma Navarra riuscì nell’impresa e rifi­utò la ricom­pensa offertagli dal car­di­nale: “Mi basta l’onore di aver reso un servizio a San Gen­naro e a voi, il denaro datelo ai poveri”. La festa di San Gen­naro è quel mis­tero den­tro cui c’è Napoli. Una terra che si liq­uefa e si rico­ag­ula, che ha una con­sis­tenza indefini­bile, mai certa, sol­ida. E che pure gronda di vita vera, con­ta­giosa. Più cade nell’abisso senza regole, crudele, più sem­bra in grado di rin­no­varsi. San Gen­naro c’è anche se non lo mer­iti. Non devi con­quis­tarlo. Sei amato e forse aiu­tato. Il mis­tero di San Gen­naro è tutto qui. In questa incred­i­bile ambi­gu­ità. Nella dis­per­azione di una città dalla vita così dura, così caot­ica, che deve riv­ol­gersi ad un santo per immag­inare di trovare una regola.

© 2010 Roberto Saviano/ Agen­zia San­tachiara

TRATTO DAL SITO DI ROBERTO SAVIANO

San Gennaro - Wikipedia

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